giovedì 27 agosto 2009

Fabrizio De André



L'album del debutto è Tutto Fabrizio De André (1966, ristampato due anni dopo con il titolo di La canzone di Marinella sotto un'altra etichetta e riportando una diversa copertina), una raccolta di alcune delle canzoni che sino ad allora erano state edite solo in 45 giri, seguita da Volume I (1967), Tutti morimmo a stento (1968), Volume III (1968), Nuvole barocche (1969); quest'ultimo è la raccolta dei 45 giri del periodo Karim esclusi da Tutto Fabrizio De André


Curioso come siano numerosi in questa voce di Wikipedia le annotazioni "senza fonte", riservate di solito a quanto non "organico".

Fabrizio De Andrè, come ha colto Aldo Grasso, non a caso ligure anch’egli, sul Corriere della Sera, è stato il cantore della Morte. Della morte e anche dell’amore ma solo in quanto conduce a morte. De Andrè era affascinato, attratto ossessionato dal fantasma, sempre presente della morte e la “Nobile Signora” è protagonista in quasi tutte le sue canzoni, specialmente quelle del periodo giovanile: da “Inverno” (“Sale la nebbia dai camposanti”) a Marinella (lei scivolata nel fiume), alla “Ballata del Michè” (lui si è impiccato) a “Geordie” (sarà impiccato) a “Leggenda a Natale” (lui la seduce e lei ne muore) a “La ballata dell’amore cieco” (lui si uccide per lei, indifferente) a “La canzone dell’amore perduto” (“Ma più del tempo che non ha età siamo noi che ce ne andiamo”) a “La città vecchia” (“Ci sarà allegria anche in agonia col vino forte, porterà sul viso l’ombra di un sorriso anche fra le braccia della morte”) a “Si chiamava Gesù” (per la morte, senza resurrezione, di Cristo) a “La guerra di Piero” (“Ninetta mia crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio, Ninetta bella diritto all’inferno avrei preferito andarci d’inverno”) a “La ballata dell’eroe” (che è morto inutilmente) a “Fila la lana” (lui non tornerà dalla Crociata) a “Il re fa rullare i tamburi” (“La Regina ha raccolto dei fiori, la Regina ha raccolto dei fiori e il profumo di quei fiori ha ucciso la marchesa”) a “Caro amore” (“e il sole e il vento e i verdi anni si rincorrono cantando verso il novembre cui ci stan portando”) a “Delitto di paese”, a “Preghiera in gennaio” (per Tenco suicida e per tutti quelli che si son tolti la vita “perché dei suicidi non hanno pietà”) a “La morte”.


Massimo Fini

Battipaglia

La rivolta popolare del 1969

Il 9 aprile del 1969 si ebbero gravi incidenti a Battipaglia, al diffondersi della notizia della decisione di chiudere due aziende storiche come la manifattura dei tabacchi e lo zuccherificio. Per la città è una tragedia, dal momento che metà della popolazione vive su queste due fabbriche, sulle coltivazioni e sull'indotto. La chiusura di queste aziende significherebbe quindi disoccupazione e miseria. Vengono indette manifestazioni di protesta e cortei, e lo scontro con le forze dell'ordine è drammatico. L'assedio dei dimostranti diventa un attacco, e la polizia perde la testa e spara sulla folla uccidendo due persone: Carmine Citro, operaio tipografo di 19 anni, e Teresa Ricciardi, insegnante in una scuola media di Eboli, che viene raggiunta al petto da una pallottola mentre è affacciata alla finestra di casa sua. Le cariche della polizia si susseguono per tutto il pomeriggio, ed in tutto si contano 200 feriti (di cui 100 da arma da fuoco) fra i dimostranti, e 100 tra i membri delle forze dell'ordine. Il giorno seguente la gente scende in piazza inferocita, blocca ferrovie, strade e autostrade, dalle 17 alle 22 la città è in mano a tremila dimostranti, che devastano la stazione, incendiano il municipio, danno fuoco a duecento auto e poi assediano il commissariato di polizia e la caserma dei carabinieri. A Roma arriva invece la notizia che ci sono stati cinquanta morti e, temendo una insurrezione generale, viene subito trovato un accordo per la riapertura delle due aziende.


Da altre fonti risulta che Citro era studente-operaio e la Ricciardi aveva 26 anni; i poliziotti erano fuggiti aprendosi un varco verso i campi nei muri delle cantine della caserma e che i carabinieri furono accolti con applausi la mattina del 10.

Da leggere, per capire l'ambiente, "Cristo si è fermato a Eboli" (di cui Battipaglia era una frazione), di Carlo Levi, pubblicato nel 1945 da Einaudi.

Il documentario di Virgilio Sabel, del 1958, può essere richiesto a Teche Rai

lunedì 24 agosto 2009

La nuova Hollywood

E' stata un periodo breve (dal 1967 al 1975 circa) in cui la logica delle majors che puntavano tutto sugli attori e/o sui kolossal da botteghino è entrata in crisi e si sono fatti film "minimalisti" con attori allora giovani e sconosciuti e puntando sui registi (come in Europa) e su temi giovanili.

Al link del titolo trovate le principali novità in tema di rinnovamento dei generi e dei caratteri dei personaggi, oltre ad una filmografia minima
.
Tutti film meritevoli di essere visti, tra i quali spicca, nel 1969, Easy Rider un vero cult che ha in sé diversi archetipi:
-il mito del viaggio (Sulla strada di J.Kerouac, manifesto della beat generation);(1)
-il mito della California, contrapposto alla mentalità rurale dell'interno degli USA;
-il mito della motocicletta (ma quel particolare tipo di moto/chopper da contrapporsi a quella dei bulli alla Marlon Brando) come simbolo di libertà;
-e, ovviamente, spinelli a volontà (oggi non sarebbe considerato "politically correct).



E' difficile essere liberi quando ti comprano e ti vendono al mercato


1) Muore il 18 agosto 2009 Fernanda Pivano, massima divulgatrice in Italia della beat generation

Crisi della rappresentanza

Il vento del sessantotto porta con sé le richieste della base di una rappresentanza diretta e questo mette in crisi le tradizionali forme di rappresentanza fino a quel momento che si rivendicano, anche al loro interno, più autonomia: accade così la definitiva scissione socialista dove ritornano PSDI e PSI; le Acli (Associazione cattolica lavoratori italiani) rifiutano il collateralismo con la DC; i sindacati dichiarano l'incompatibilità tra partito e sindacato, ponendosi così decisamente dall'altra parte della barricata.

Anche l'Azione Cattolica vara il primo novembre 1969 il nuovo statuto in cui privilegia le scelte religiose rispetto alla militanza politica, che, fino a quel momento era stata indiscusso appannaggio della DC; la stessa cosa fa la CISL che decide di porsi in opposizione al potere politico (che in tutti gli anni '60 era stato essenzialmente democristiano.

Anche sul fronte dell'opposizione si registrano scissioni: a livello internazionale aumentano le tensioni tra i regimi comunisti di Cina e Urss; a livello nazionale il 23 giugno 1969 esce "Il manifesto", i cui redattori vengono "scomunicati" dal comitato centrale del PCI; ma a sinistra c'era già Potere operaio e Lotta continua e non si contano le formazioni che nascono spontaneamente ogni giorno rivendicando l'autonomia della base dalle decisioni dei vertici.

Insomma, quello che la cronaca fa finta di ignorare è che il sentimento comune dei tempi era:"nessuno è autorizzato a dirmi quello che è meglio per me".

lunedì 17 agosto 2009

La cinese

La cinese di Godard (1967)

La cinese, in cui l’occhio e l’orecchio di Godard si fermano sui giovani francesi, studenti e artisti, che cercano in Mao la terra promessa alle loro inquietudini d’adolescenti piccolo borghesi. Sono in cinque, e vivono in un appartamento che delle amiche hanno loro ceduto per le vacanze. Véronique è studentessa di filosofia, ed è quella che rimugina le idee con maggiore tormento; Guillaume è attore; si riempie la bocca di Brecht, ma vagheggia la sostituzione del teatro tradizionale con una forma di comunicazione diretta, consistente nell’andare a recitare le battute a domicilio, applicandole allo stato d’animo di chi viene ad aprire la porta; Henri studia chimica, e ha il cervello più inquadrato in schemi razionali; Kirilov, così chiamato perché somiglia al personaggio di Dostoevskij, fa il pittore; Yvonne, d’origine contadina, dopo aver battuto il marciapiedi pensando al sol dell’avvenire è venuta a fare da serva-compagna ai quattro intellettuali.
Tutti insieme hanno fondato una microcellula maoista. Tappezzati i muri di slogan, riempiti gli scaffali di libretti rossi con le massime auree, impiegano il tempo severamente, impartendosi lezioni di tecnica rivoluzionaria. Leggono ad alta voce i pensieri di Mao, ospitano un amico negro che predica l’applicazione del marxismo-leninismo al terzo mondo, distribuiscono il libretto per le strade. Qualcuno fa persino all’amore, ma questa è un’attività periferica, sospetta di deviazionismo borghese; al centro dei loro interessi c’è il dibattito ideologico, che si risolve in un mar giallo di chiacchiere e in pantomime antiamericane...


La cinese di Xiaolu Guo (2009)
Mei, una giovane cinese, decide di abbandonare la noiosa quotidianità del suo piccolo villaggio natale per la vicina città di Chongqing. Ma la vita cittadina non è meno difficile. Licenziata da una fabbrica di vestiti che l’aveva appena assunta, la ragazza rimedia un impiego in un salone da parrucchiere. Lì incontra Spikey, sicario della mafia locale. Se Mei è profondamente attratta da quest’uomo brutale, che non esita a chiederle di picchiarlo con un nunchaku in mezzo alla strada, per lui la ragazza è soltanto una conquista in più. Una sera Spikey rientra a casa coperto di sangue e muore sotto i suoi occhi. Mei trova alcune mazzette di banconote sotto il materasso e parte subito per Londra, dove ha l’opportunità di sposare mister Hunt, un uomo di settant’anni. Nel silenzio della casa del nuovo marito per lei comincia una vita nuova. Sarà soddisfatta di quella monotona quotidianità?
Scandito dalla colonna sonora originale di John Parish, realizzata in collaborazione con PJ Harvey e gli Eels, e da un’eloquente divisione in capitoli con titoli quali Sometimes you wonder who you really are oppure Mei feels love under the Big Ben calendar, il film di Xiaolu Guo è il ritratto di una donna che non esita ad affrontare una serie di dure prove nella speranza di un futuro più generoso. Per introdurci nell’universo emotivo della protagonista, la regista si serve di elementi naturali, come il caldo soffocante dell’estate, un’anatra brutalmente sgozzata, un cane sbranato da una volpe. Attraverso le peripezie e gli incontri di Mei, She, a Chinese parla anche della mescolanza delle culture in questi primi anni del XXI secolo, e del modo in cui gli esseri umani, gli stili di vita, gli oggetti di consumo o la musica valicano le frontiere. Benché nella sua esistenza questo meticciato generi un certo caos, Mei trova la forza di sfuggire all’isolamento e prosegue la sua fuga verso l’ignoto, secondo i propri desideri.

domenica 16 agosto 2009

Woodstock



Barnard Collier del New York Times, avrebbe raccontato che i redattori a New York lo incitavano a sottolineare i blocchi stradali, le sistemazioni improvvisate, l'uso di droghe fra i ragazzi, e la presunta aggressività di alcuni di loro.

Collier ha ricordato: "Ogni redattore, fino al redattore capo James Reston, insisteva perché il tono del reportage indicasse una catastrofe sociale in corso. Era difficile persuaderli che la mancanza di incidenti seri e l'affascinante cooperazione, premura e correttezza di così tante persone era il punto significativo. Ho dovuto rifiutarmi di scrivere quella storia se non avesse potuto riflettere in larga parte la mia convinzione di testimone oculare, che 'pace e amore' era la cosa davvero importante, non le opinioni preconcette dei giornalisti di Manhattan. Dopo molte telefonate acrimoniose, gli editors acconsentirono a pubblicare la storia come la intendevo, e benché aneddoti di ingorghi stradali e piccole illegalità fossero raccontati quasi all'inizio degli articoli, i miei pezzi erano permeati dall'atmosfera autentica di quella assemblea. Dopo che la descrizione della prima giornata comparve sulla prima pagina del [New York] Times, molti riconobbero che caso sorprendente e bello stesse avvenendo".

Ma benché l'atmosfera del festival fosse straordinariamente serena, si ha notizia di due decessi a Woodstock: uno probabilmente causato da un'overdose di eroina, e la morte accidentale di un partecipante che dormiva nel sacco a pelo, in un campo di fieno limitrofo, quando fu investito da un trattore.

Sembra anche che avvennero due nascite (in un'auto ferma nel traffico e in un elicottero) e quattro aborti spontanei.

domenica 9 agosto 2009

Palinsesto TV

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Qualche considerazione sul palinsesto di una settimana televisiva a caso del 1969 (trovate la scansione delle foto su flickr all'indirizzo soprariportato e potete lasciare anche i vostri commenti.

Nel 1969 vediamo già presente il secondo canale, le cui trasmissioni iniziano però solo in ore serali, la mattina sul nazionale è dedicata a trasmissioni scolastiche, il telegiornale delle 13 e 30 è un'acquisizione recente (1968), poi ancora trasmissioni scolastiche fino alle 17.

Qui una fascia per i più piccoli e poi la Tv dei ragazzi, documentari e rubriche di vario genere fino al telegiornale delle 20 e 30, Carosello alle 20 e 50 (ne parleremo più diffusamente); poi laprogrammazione serale: il classico film del lunedì, una commedia con Cesco Baseggio, il varietà del sabato sera con Caterina Valente, il teleromanzo la domenica (qui il famoso dr. Jekyll con Albertazzi).

Sul secondo, dibattiti su temi di attualità, uno spazio giovani, un secondo film, un po' di sport, un corso di inglese, Nero Wolfe con Tino Buazzelli e Paolo Ferrari e Settevoci con Pippo Baudo la domenica.

Ovviamente le private sono ancora di là da venire (arriveranno nel 1975) e siamo ancora rigorosamente in bianco e nero, la pubblicità è divisa in vari momenti della giornata con brevi spot dai 10 ai 40 secondi, con carosello che fa la parte del leone fino al 1977, quando le TV private ne decreteranno la morte.

Questa soluzione tutta italiana, perciò invisa alle agenzie filoamericane, prevede uno "spettacolino" di un centinaio di secondi e un "codino" pubblicitario di 30 secondi al massimo, per un totale di 2 minuti e 15 secondi moltiplicati per 4, poi 5 prodotti per serata senza mai repliche e a distanza di almeno una settimana l'uno dall'altro.

Questa formula permette una estrema varietà di soluzioni (si pensi adesso quante volte si vede lo stesso spot nel corso della stessa trasmissione) ed è inevitabilmente costosa visto che ogni settimana si deve mettere in cantiere un nuovo spot, il cui costo va a sommarsi ai circa due milioni di lire di allora per l'acquisto dello spazio.

Probabilmente anche per questo si ricorre alla soluzione più economica del cinema di animazione che conosce così la sua stagione migliore fornendo lavoro a diversi studi (Paul Campani a Modena, Guido De Maria a Bologna, Bruno Bozzetto e Toni Pagot a Milano).

Comunque sia, si tratti di animazione o di scenette con attori in carne ed ossa, è indubbio che l'immaginario collettivo italiano si unifica e si rafforza proprio attorno a questi archetipi sotto forma di sigle musicali, locuzioni verbali, situazioni topiche che hanno percorso interamente tutti gli anni '60.

sabato 8 agosto 2009

Riforma scolastica


universita di bondenocom Di fronte alle richieste provenienti dagli studenti, il governo sembra annaspare e stenta a produrre qualcosa di organico.
Il ministro della pubblica istruzione Gui presenta il decreto legge n.2314, bollato immediatamente dagli studenti come il "famigerato 2pigreco" che riprende la proposta della commissione Ermini e le proposte di Fiorentino Sullo che torna al governo nel 1968, come ministro della Pubblica Istruzione nel III Governo Rumor, ma si dimette dopo pochi mesi. Non disponendo di tempi tecnici per poter portare a compimento una riforma dell'istruzione secondaria e di quella universitaria, riesce ad adottare alcuni provvedimenti settoriali (nuovo esame di maturità, moltiplicazione delle sessioni di esame, possibilità di adottare dei piani di studio individuali, diritto di assemblea studentesca nelle scuole superiori, eccetera), in parte rimasti tuttora in vigore.
La legge vede la luce solo l'11 novembre 1969 col ministro Riccardo Misasi (allora istruzione e università erano riuniti sotto un unico dicastero) che aggiunge la liberalizzazione degli accessi all'università, quella dei piani di studio e la riforma "sperimentale" dell'esame di maturità.

Per capire la portata di questo provvedimento va considerato che all'epoca l'università italiana aveva circa 3000 professori di ruolo (i c.d. baroni a capo dei dipartimenti che si spartivano gli scarsi finanziamenti per la ricerca) governando su circa 7000 assistenti di ruolo e circa 4000 assistenti straordinari e incaricati.

L'OCSE, così descrive in un rapporto del 1969 la situazione dell'Università italiana:
« L'Università dispone di mezzi globalmente insufficienti, non solo per adempiere alla sua missione di insegnamento, ma soprattutto per far fronte ai suoi compiti di ricerca. Tenuto conto del numero attuale degli studenti e del prevedibile aumento degli effettivi e confrontando la situazione con quella di altri Paesi europei industrializzati, si può affermare che l'Università dispone soltanto di un terzo delle risorse necessarie per far fronte ai suoi impegni ».
« I testi legislativi e regolamentari che reggono l'Università sono stati elaborati in un'epoca in cui la ricerca era artigianale e concepita come il complemento dell'attività didattica. Nessun testo è intervenuto nell'epoca moderna per riorganizzare questo settore della ricerca scientifica. La conseguenza è una certa confusione ». « Si tratta di un settore molto vasto ed eterogeneo che comprende sia unità di ricerca moderne vicine all'optimum dimensionale, e di valore internazionale, sia centri poco o nulla organizzati nei quali la ricerca si sviluppa a livello individuale... Gli istituti sono diretti da un professore di ruolo che assicura la gestione amministrativa e la direzione scientifica. Ma gli istituti non sono dotati di personalità giuridica e di autonomia finanziaria; al massimo dispongono di autonomia contabile... In tali condizioni il direttore dell'istituto non dispone di alcun mezzo giuridico per lo sviluppo del suo centro di ricerca ».
« E' sorprendente constatare che il numero degli istituti è spesso superiore a quello dei professori titolari di cattedra, fatto questo che mette in luce la loro eccessiva dispersione ». « Anche la struttura della Università italiana e la mentalità degli amministratori sono responsabili di questa situazione. E' stato scritto severamente: "II sistema di cooptazione universitaria modella la mentalità dei professori, la conquista della cattedra è la meta finale che essi perseguono; questa conferisce loro uno spirito di disimpegno e di individualismo, il professore sì considera membro di una 'corporazione', nella quale è riuscito ad entrare dopo molte difficoltà; un istituto di ricerca è la dote che pretende; ...è una dote miserabile, ma permette al professore di esercitare la propria sovranità" ». « Solo un governo energico potrebbe modificare profondamente e rapidamente questa situazione, sopprimendo gli istituti meno efficienti; ci si scontrerà allora con violente opposizioni locali... Questa riforma sarà tanto più difficile a realizzarsi in quanto i professori universitari, divisi sull'opportunità e le modalità di questa riforma, non sono disposti a vedersi imporre dall'esterno profondi cambiamenti nell'ambito del loro statuto. Come è stato detto, essi costituiscono un potere nello Stato; il loro prestigio sociale, dovuto non solamente alla loro autorità intellettuale e alla loro libertà di spirito, ma anche alle numerose relazioni che essi intrecciano, al di fuori dell'università, nel mondo degli affari e specialmente della politica, è tale, che un governo, nell'occuparsi dell'Università, deve dar prova di grande autorità ».
Rapporti con l'industria privata
« Per ragioni che dipendono principalmente dalla mentalità delle parti in causa, la collaborazione tra industria e università è molto poco sviluppata. Nel 1963, l'l,7% delle spese di ricerca dell'insegnamento superiore è stato finanziato dalle imprese. Gli industriali sentono raramente il bisogno di rivolgersi agli istituti universitari. Se le loro imprese sono di dimensioni ridotte, essi non hanno interesse per la ricerca fondamentale e non sono, in ogni caso, mentalmente preparati a stabilire dei rapporti con l'università; se invece le loro imprese sono importanti, essi si sforzano di creare propri laboratori di ricerca e di associarvi, all'occasione, i professori competenti. I professori sono spesso sollecitati, a titolo personale, a dare consulenze alle grandi imprese private; ma in questi casi si tratta più che di una collaborazione università-industria a livello della ricerca scientifica propriamente detta, di un processo sociologico di unione tra due categorie della classe dirigente italiana: i professori universitari da una parte, e grandi capi d'industria dall'altra ».
Ricerca e insegnamento
« Non è esageralo affermare che l'Università italiana non ha ricercatori, poiché la maggior parte dei ricercatori universitari sono prima di tutto insegnanti; non spetta a noi pronunciarci in linea di principio sulle relazioni che dovrebbero intercorrere tra le funzioni dell'insegnamento e quelle della ricerca; possiamo soltanto osservare che questo dualismo di funzioni influisce sui temi e sui mezzi delle ricerche intraprese in questo quadro, ricerche che sono essenzialmente fondamentali e libere, quindi per loro natura difficili a programmarsi e ad articolarsi secondo la necessità dei settori produttivi ».
Il sistema di scelta dei professori « dà luogo inevitabilmente, come tutti i sistemi di reclutamento di questo tipo, ad un certo nepotismo, ad un maltusianismo, ad un conservatorismo spesso criticati... I professori titolari sono inamovibili. Essi sono autorizzati ad esercitare le funzioni pubbliche e privale corrispondenti alla loro competenza, ossia le funzioni di consulenza e le professioni libere corrispondenti alle discipline che insegnano (avvocato, architetto ecc.). Molti ritengono che questa situazione dia luogo ad abusi. Il titolo di professore universitario spesso corrisponde in pratica ad un diritto che il suo titolare non esercita ».

Fonte : Tempo illustrato 1 marzo 1969

La marea di studenti così "liberati" rifluirà massicciamente in una struttura inadatta ad accoglierli, anche solo fisicamente, e non in grado di fornire loro anche quella preparazione di base che la politica degli indirizzi almeno dava per scontata.

mercoledì 5 agosto 2009

Erotismo



Eroine di carta e icone erotiche si rincorrono nelle pagine dei giornali, nei libri fino a suggerire un nuovo modello di donna, a volte anche androgina, non più "bambola" nelle mani del maschio.

Tu mi fai girar
tu mi fai girar
come fossi una bambola
poi mi butti giù
poi mi butti giù
come fossi una bambola
Non ti accorgi quando piango
quando sono triste e stanca tu
pensi solo per te

No ragazzo no
No ragazzo no
del mio amore non ridere
non ci gioco più
quando giochi tu
sai far male da piangere
Da stasera la mia vita
nelle mani di un ragazzo no,
non la lascerò più

No ragazzo no
tu non mi metterai
tra le dieci bambole
che non ti piacciono più
oh no, oh no


Gli editori rispolverano classici come il Delta di Venere di Anais Nin, assieme a una pletora di pubblicazioni di basso livello con eroine sempre meno vestite.

Lo stesso Fellini, col suo Satyricon, si inserisce in questo filone che, negli anni '70, produrrà una serie infinita di varianti scollacciate della commedia all'italiana.

Angelica di Anne e Serge Golon



Favorita dalle edizioni pocket della Garzanti e dalle 5 trasposizioni cinematografiche dove viene impersonata da Michele Mércier, il personaggio di Angelica è un po' il contraltare femminile di James Bond.

Nata nel 1964 in terra di Francia, le sue avventure hanno il taglio del feuilleton aggiornato ai tempi che vogliono la donna attiva protagonista anche se le sue armi sono tipicamente femminili così come le sue ambizioni.

Quello che ne decreta il successo è il collocarsi al di fuori degli schemi angloamericani di dark-lady, assomigliando più alla nostrana Valentina di Guido Crepax o alle (da noi praticamente sconosciute) Jodelle e Pravda del fumettista belga Guy Peellaert (1934-2008), in cui sesso ed erotismo diventano una componente esplicita come mai prima era stato consentito.

sabato 1 agosto 2009

Unità sindacale

Nel dicembre del 1967 CGIL,CISL e UIL si accordano per chiedere unitariamente al governo una riforma pensionistica che preveda, al compimento dei 40 anni di attività lavorativa, una pensione pari all'80% della retribuzione media dell'ultimo triennio e proclamano per questo uno sciopero generale il 15 dicembre.

Sarà il primo di una serie di scioperi generali per una legge che sarà varata il 30 aprile 1969 che vede il sindacato cercare di assumere un ruolo centrale rispetto ai partiti che ormai sembrano invischiati in questioni interne di poco conto di fronte ad una base che chiede di "contare" di più nel paese e che troveranno espressione nel c.d. autunno caldo.

L'autunno caldo per definizione è la realtà di lotte sindacali operaie che si sviluppa a partire dall'autunno del 1969 in Italia. La grande mobilitazione sindacale, figlia del clima politico del Sessantotto, viene determinata dalla scadenza triennale dei contratti di lavoro, in particolar modo relativi alla categoria dei metalmeccanici.

In questo periodo le rivendicazioni salariali spontanee nelle grandi fabbriche si alleano alle agitazioni studentesche che reclamano un generalizzato "diritto allo studio" per tutti gli strati sociali. L'azione combinata del movimento degli studenti e degli operai costrinse il sindacato a recuperare la testa del movimento spontaneo.

I rapporti di forza, le tecniche di sciopero, l'astensione dal lavoro e dallo studio, le occupazioni di fabbriche e scuole coordinate da una nuova coscienza politica e partecipativa permise di formalizzare negli anni successivi conquiste sociali di rilievo, prima fra tutte lo Statuto dei lavoratori.


Oro e dollaro



In pratica il sistema progettato a Bretton Woods (1944) era un gold exchange standard, basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte agganciate al dollaro, il quale a sua volta era agganciato all'oro.

Gli accordi di Bretton Woods favorirono un sistema liberista, il quale richiede, innanzitutto, un mercato con il minimo delle barriere e la libera circolazione dei capitali privati. Quindi, anche se vi furono delle divergenze sulla sua implementazione, fu chiaramente un accordo per un sistema aperto.

Tutti gli accordi derivati direttamente o indirettamente da Bretton Woods non prevedevano un corretto controllo sulla quantità di dollari emessi, permettendo così agli USA l'emissione incontrollata di moneta, fatto contestato più volte da Francia e Germania in quanto gli USA esportavano la loro inflazione, impoverendo perciò il resto del mondo.

Nel marzo 1968, in previsione di una svalutazione del dollaro, ci sono massicce richieste di conversione di dollari in oro, che le banche centrali si erano impegnate a mantenere a 35 dollari l'oncia (31,1 grammi); enormi quantità d'oro escono dai forzieri per affluire nelle tasche dei privati e il prezzo sale a 44 dollari l'oncia, svuotando le riserve e svalutando di fatto il dollaro.

A questo punto il pool delle banche si scioglie e lascia libero il mercato di fluttuare secondo le richieste di mercato, impegnando solo le banche centrali a regolare le transazioni internazionali al valore standard dei 35 dollari/oncia.


Poi la guerra in Vietnam, che fa aumentare fortemente la spesa pubblica americana, mette in crisi il sistema: di fronte all'emissione di dollari e al crescente indebitamento americano, aumentano le richieste di conversione delle riserve in oro. Ciò spinge il 15 agosto 1971, a Camp David, il presidente statunitense Richard Nixon, ad annunciare la sospensione della convertibilità del dollaro in oro. Le riserve americane si stavano pericolosamente assottigliando: il Tesoro americano aveva già erogato 90.000 tonnellate di oro. Nella gestione del Fondo Monetario Internazionale erano già operativi i Diritti Speciali di Prelievo con un valore puramente convenzionale di un diritto speciale di prelievo per un dollaro.

Arriviamo così ai giorni nostri in cui la variante è che si sta discutendo di un "paniere" di monete da sostituire al dollaro in queste transazioni virtuali.
Di fatto oggi il valore di ciascuna moneta è puramente convenzionale.

Il 4 giugno 1963, il presidente John Fitzgerald Kennedy (Brookline, 29 maggio 1917 – Dallas, 22 novembre 1963) firmò l'ordine esecutivo numero 11110 che dava al Ministero del Tesoro il potere "di emettere certificati sull'argento contro qualsiasi riserva d'argento, argento o dollari d'argento normali che erano nel Tesoro". L'ordine di Kennedy riportava in mano allo stato il potere di emettere moneta, senza doverla "chiedere in prestito" alla Federal Reserve. Complessivamente, Kennedy mise in circolazione banconote per 4,3 miliardi di dollari garantite da riserve in argento. Kennedy scelse come riserva monetaria l'argento. La moneta nel progetto di Kennedy aveva costo zero per lo Stato (invece che indebitarsi verso la FED) in quanto i certificati d'argento erano dollari USA, non obbligazioni sulle quali lo Stato pagava gli interessi. Viceversa la moneta della FED era prestata al Governo applicando un tasso di interesse. Diversamente dalla moneta della FED, era poi una moneta convertibile. Con il provvedimento, il Tesoro statunitense tornava ad emettere moneta come era avvenuto dalla fine della guerra di secessione fino agli anni '30, prima della costituzione della Federal Reserve.