martedì 5 luglio 2011

Autogrill Pavesi

Mario Pavesi e l'arch.Angelo Bianchetti

L'origine dell'Autogrill si deve alle vicende comuni di tre aziende alimentari che hanno giocato un ruolo fondamentale nella storia moderna dell'alimentazione industriale italiana: Motta, Pavesi, Alemagna. Il primo Bar Motta apre a Milano nel 1928, tra piazza Duomo e la Galleria Vittorio Emanuele. Nel 1933, sempre in piazza Duomo sull'angolo con via Torino nasce il Bar Alemagna. Finita la seconda guerra mondiale le tre aziende si lanciano sul mercato della ristorazione autostradale inaugurando nuovi negozi e autogrill in tutta Italia. Nel 1947 sull'autostrada Milano-Novara apre un piccolo chiosco di ristoro che nel 1962 viene sostituito da una nuova struttura a ponte che può così servire chi viaggia nei due sensi di marcia sulla Milano-Torino: è il primo autogrill Pavesi.

Si deve agli architetti Angelo Bianchetti, Melchiorre Bega e Carlo Casati la progettazione e creazione degli Autogrill a ponte che si incontrano lungo le autostrade italiane: il primo lavorava per la Pavesi, il secondo per la Motta, il terzo coordinava invece il progetto per la Società Autostrade per l'impatto della struttura a ponte dal punto di vista paesaggistico.

Il 30 agosto 1976 dalla fusione dei rami d'azienda della ristorazione stradale di Motta, Pavesi e Alemagna e dalla contemporanea acquisizione da parte della SME, Gruppo agroalimentare controllato dall'IRI e a partecipazione statale, nasce a Novara Iscar S.p.A. che nel 1986 diventerà Autogrill S.p.A..
Fonte: wikipedia s.v. autogrill
In tempi in cui gli acquisti a self-service  in Italia erano ancora una rarità, l'Autogrill costituiva una sorta di viaggio nel viaggio, un luogo di incontro, un tuffo nella modernità.

sabato 2 luglio 2011

Carosello



Per il cast di "Salomone pirata pacioccone" vedi:
http://www.mondocarosello.com/html/fabbri_1966.html

In un' estate del 1983, Marco Giusti, il futuro autore di Blob e studioso di cinema e pubblicità, entrò nel reparto Sacis di via del Babuino: scopo immediato realizzare per la Mostra del Cinema di Venezia un montaggio di Caroselli d' autore. Finirà per restare molto più a lungo del previsto tra pizze e moviole, schedando vent' anni di telecomunicati. Un' ossessione (nello stesso periodo in cui viveva sommerso a via del Babuino, Giusti conobbe sua moglie: e alla domanda di rito del futuro suocero: "Che lavoro fa, giovanotto?", fu costretto a dire la verità: "Guardo Carosello"). Oggi l' ossessione è diventata libro: anzi, Il grande libro di Carosello, che esce per Sperling & Kupfer (pagg. 620, lire 49.000). Non un saggio, ma un preziosissimo catalogo di tutte le serie realizzate, divise per ditte di committenza e accompagnate dai nomi di agenzia, casa di produzione, autori, realizzatori, interpreti, anni di messa in onda, con "codino" di valutazione dove si segnalano culto, interesse, fascino, ricordo. "Ricordo è la parola chiave, a proposito di Carosello", dice Giusti. "Per chi ha più di 35 anni Carosello è la televisione ed è l' infanzia. Perché dentro c' è tutto, come nel mondo duplex di Nembo Kid: c' è il cinema, c' è la radio, il varietà, la televisione stessa, l' industria con le invenzioni dell' Italietta di allora. C' è il Moplen e accanto, magari, Moravia (intervistato da Mike Bongiorno per lo shampoo Plix, nel 1957, ndr). E tu, bambino, eri parte integrante dello show in quanto spettatore privilegiato: un effetto del genere esiste soltanto per Stanlio e Ollio, che sono sempre stati "visti", dai tuoi genitori come dai tuoi figli, e sono sempre uguali a se stessi. Diciamo che cambiano soltanto i modi di ricordare: nostalgico quello dei quarantenni, rivalutativo in chiave trash quello dei trentenni. Ma anche chi è bambino oggi non sfugge a Carosello. Striscia la notizia, che è il suo vero erede, ha assunto la stessa funzione: il teatrino, brevissimo, che segna la fine della giornata. E' soltanto una questione di orario? "Naturalmente no. Il fascino di Carosello, oltre che nella sua caratteristica di mini-palinsesto, sta nella gara. E' una cosa che ho capito adesso, mentre preparo per Mario Maffucci e Pippo Baudo uno spettacolo su Carosello che andrà in onda su Raiuno. Baudo ha avuto l' idea di strutturare il programma come una gara. E lo era: da bambino, alla fine di ogni Carosello, io dividevo gli spot in belli e brutti. Esattamente quello che volevano i suoi ideatori: Carosello significa proprio torneo di cavalieri. Ma ha anche altri significati: in napoletano è la palla di creta di un antico gioco di origini arabe, oppure è il salvadanaio. E carusiello è il bambinetto con la testa ancora pelata. Insomma, nel nome c' è già tutto: il bimbo, i soldi, il gioco, il torneo, Napoli. Straordinario". Dentro Carosello c' erano molte altre cose: per esempio fior di scrittori e di registi dell' epoca. Oggi la collaborazione di un intellettuale ad uno spot non sarebbe così pacifica, o sbaglio? "No, ma semplicemente perché i pubblicitari non saprebbero cosa farsene, mentre probabilmente gli intellettuali accetterebbero subito. In quegli anni il rapporto fra la casa di produzione e la ditta era molto casalingo, padronal-familiare. Il cavalier Gazzoni dell' Idrolitina e Marcello Marchesi si sfidavano a trovare le rime. Scrivevano autori di varietà, come Terzoli e Vaime, Garinei e Giovannini, ma anche Malerba, ma anche Campanile, ma anche giornalisti del Corriere della Sera come Guglielmo Zucconi e Franco Di Bella. Francesco Alberoni era consulente della CPV e lavorò ad una bellissima serie della Barilla con Mina protagonista. Ma questo era giusto: la pubblicità integrava le idee dell' uomo di cultura, e allo stesso tempo gli dava da vivere. Le fratture sono successive: una è politica, e risale agli anni Settanta, quando si scoprì che certi registi considerati di sinistra come Amelio, i fratelli Taviani, Olmi, Maselli, Bolognini, Patroni Griffi, giravano spot. Vennero chiamati ' quelli di Motta Continua' . L' altro fattore è stato il cambiamento della pubblicità stessa, con l' arrivo delle grandi agenzie e dei creativi". Quali scoperte hai fatto visionando vent' anni di Caroselli? "Per esempio un provino a Orson Welles per la Rhodiatoce. Lo chiamò Pino Peserico, direttore della Cinetelevisione, alla fine degli anni Sessanta. I responsabili della Rhodiatoce non sapevano chi fosse, non avevano mai visto Quarto potere, e tuttavia Peserico riuscì a chiamarlo a Venezia e ad ottenere, dopo trenta whisky and soda e l' offerta di un milione, a girare un provino come protagonista. Non piacque, e la serie non si fece più. Oppure, la serie pasoliniana girata da Ettore Scola per il cerotto Johnson: aveva sempre negato di aver fatto pubblicità. Ancora, il carosello con Silvio Berlusconi, non si riesce a capire per quale ditta, ma Peserico ricorda di averlo pagato 11 mila lire. Però, più che il gusto delle scoperte, mi ha supportato quello di rimettere a posto i tasselli del mosaico. A me piace scrivere, ma a volte penso che la vera scrittura sia questa: ricostruire, catalogare, partendo dai frammenti, dando una storia a cose belle che gli spettatori ricordano, ma che l' 80 per cento delle persone che vi hanno preso parte non ricorda di aver fatto. O magari nega: senza sapere che a volte quei due minuti hanno più valore del film di due ore di cui lo stesso regista va fiero". - di LOREDANA LIPPERINI

in http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/10/23/storia-di-carosello-lo-spot-servito.html