mercoledì 12 dicembre 2012

L'ultimo tram

Guccini ha appena pubblicato l'ultima Thule e noi pubblichiamo l'ultimo tram che segna la fine di un'epoca tutto sommato decisamente migliore.
Con questo articolo chiudiamo il blog e vi rimandiamo al sito http://anni60storia.info e al blog di "materiali" che continua il discorso

martedì 9 ottobre 2012

Omaggio a Jerzy Skolimowski

Omaggio a Jerzy Skolimowski
dal 7 all'11 ottobre

Che abbia girato film in Polonia, o nel resto d’Europa, o in America, c’è sempre stato, nei film di Skolimowski un certo umorismo caustico prima che surrealista, proprio dell’est, infrangibile. Dall’autobiografismo dei primi film, fino alle grandi produzioni per gli Studios, passando per Parigi, Londra, la Germania, questa specie di apolide non ha mai smesso di interrogare i piccoli traumi, le ossessioni, le follie dell’essere umano. Ogni suo film ci lascia stupefatti. Come dovrebbe accadere al cinema.

Mercoledì 10 ottobre

  • Cinema Lumière - Sala Officinema/Mastroianni 18.30
    (Bariera, Polonia/1966) di Jerzy Skolimowski (77')

    Pellicola sprovvista di visto di censura vietata ai minori di 18 anni
    Lingua originale con sottotitoli Lingua originale con sottotitoli
  • Cinema Lumière - Sala Officinema/Mastroianni 20.15
    (Le Départ, Belgio/1967) di Jerzy Skolimowski (93')

    Cinefilia

domenica 19 agosto 2012

Ferdinando Innocenti

Una storia esemplare quella di Ferdinando Innocenti (1891-1966) che brevettò il suo sistema di tubi per ponteggi (ancora in uso oggi) e la famosa Lambretta, nell'immediato dopoguerra.
Agli anni sessanta appartiene invece l'ingresso nel settore auto.
". L'Innocenti si affaccia timidamente all'inizio degli anni '60 nel settore tradizionalmente dominato in Italia da Fiat, e da produttori medio grandi e con marchi conosciuti quali Lancia e Alfa Romeo (allora indipendenti).

Vista di 3/4 della Innocenti 950 spider (1961)
L'attività inizia nell'autunno del 1960 con il montaggio dell'Innocenti A40, ossia l'Austin A40 inglese assemblata su licenza in Italia con carrozzerie stampate a Milano. La prima presentazione "ufficiale" in Italia della A40 reca la data del 21 ottobre 1960. L'avventura prosegue con lo stesso schema con la lussuosa berlina 4 porte IM3 la J4 e la I5, varianti più economiche della prima, che conoscono un discreto successo di mercato. La prima macchina di idea lambratese è la Innocenti 950 Spider, una piccola cabrio di impronta sportiva caratterizzata da una carrozzeria progettata in Italia, dalla Ghia, costruita a Lambrate e montata su organi meccanici inglesi (Austin Healey Sprite): questo piccolo e grazioso spider viene presentato, assieme alla berlina A40, al Salone dell'Automobile di Torino nell'autunno 1960. Sarà seguito dalla versione coupé con motore 1.100 prodotta in meno di 1000 esemplari.
Una coupé più grande, con motore Ferrari, una piccola utilitaria che prefigurerà le linee delle ultime Mini e un piccolo veicolo commerciale rimangono solo progetti dei tecnici di Lambrate. A metà anni ’60 il boom automobilistico dell'Innocenti coincide proprio con la commercializzazione della Mini (Mini Minor). Fabbricata su licenza della British Motor Corporation, con scocche stampate in Italia e meccanica proveniente dall’Inghilterra, la Mini viene costantemente aggiornata e migliorata, anche rispetto alla versione originale inglese, per l'esigente pubblico italiano (finiture più lussuose), il che porta a farne una vettura trendy, di successo e dalle indiscusse velleità sportive nelle versioni Cooper. Costruita in varie serie e modelli (MK 2, MK 3), alcuni peculiari Innocenti, come la versione di prestigio della Mini 1000, la raffinata Mini 1001 del 1972, con particolari interni in vero legno, moquette e particolari esterni cromati, che non trovano corrispondenti nelle versioni inglesi. Montata nei vari anni di produzione con motori di 0.85, 1 ed 1.3 litri rimane in listino fino al 1975."
estratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Innocenti
Il resto della storia, che trovate allo stesso link, è quello classico descritto da Luciano Gallino in La scomparsa dell'Italia industriale

sabato 21 luglio 2012

Il Kitsch

Nel 1968 esce “Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto” edito da Mazzotta, una serie di approfondimenti teorici che hanno aiutato a descrivere il concetto di kitsch in tutte le sue articolazioni; concetto che Dorfles per primo ha contribuito in modo decisivo a definire, a livello internazionale.

Il testo di Dorfles è una vera pietra miliare per la comprensione e l’evoluzione del “cattivo gusto” dell’arte moderna; afferma che alcuni capolavori della storia dell’arte come il Mosé di Michelangelo, la Gioconda di Leonardo sono “divenuti emblemi kitsch perché ormai riprodotti trivialmente e conosciuti, non per i loro autentici valori ma per il surrogato sentimentale o tecnico dei loro valori”.

“L’industrializzazione culturale, afferma Dorfles, estesa al mondo delle immagini artistiche ha condotto con sé un’esasperazione delle tradizionali distinzioni tra i diversi strati socio-culturali. La cultura di massa è venuta ad acquistare dei caratteri assai diversi (almeno apparentemente) dalla cultura d’élite, e ha reso assai più ubiquitario e trionfante il kitsch dell’arte stessa.”

Nel citato libro di Dorfles vengono esaminati da alcuni studiosi vari aspetti del kitsch, dalle riproduzioni dozzinali di opere d’arte alla “musica di consumo”, dal cinema alla pubblicità, dal design all’architettura.

Alcuni artisti, soprattutto delle avanguardie, hanno riproposto immagini di capolavori della storia dell’arte, universalmente riconosciuti, per creare consapevolmente “ricercate opere” kitsch, ironiche, provocatorie o scandalose: è il caso dell’opera L.H.O.O.Q., 1919, un ready made ritoccato da Marcel Duchamp, versione con aggiunta di barba e baffi della Gioconda di Leonardo, dal titolo dissacrante (pronunciando il nome delle lettere in francese si ottiene la frase “elle a chaud au cul”).

La prima parte della mostra presenta… “ autori, i quali volutamente usano citazioni kitsch” (Gillo Dorfles).

Tra gli artisti Adriana Bisi Fabbri con Salomè di fronte (passo di danza), 1911, e Salomè a tergo (Mossa di danza), 1911, che rappresenta il personaggio biblico con rotondità paradossalmente eccessive; Alberto Savinio che con Penelope, 1933, rivive con ironia il mito classico; Gianfilippo Usellini che con Donna con la coda, 1970, riporta con ironico paradosso a una primitiva condizione animale; e ancora Enrico Baj che con Madame Garonne, 2003, assembla materiali diversi per denunciare la corruzione del gusto causata dalla cultura del prodotto industriale. Infine tre opere di Salvador Dalì fanno parte di questo gruppo di artisti che sono in mostra in qualità di ironici ispiratori del fenomeno.

Il percorso dell’esposizione continua con una serie di autori deliberatamente kitsch.

Afferma Gillo Dorfles: “qui vediamo alcuni artisti contemporanei che, intenzionalmente, creano opere con elementi che fanno riferimento alla cultura del kitsch”

Tra questi artisti Luigi Ontani, che con l’opera Er ciclopercurione, 1990, si avvicina a una figurazione fantastica che attinge e manipola con ironia suggestioni da differenti culture, linguaggi e tecniche espressive; Antonio Fomez con Michelino, 1966, ispirato alla Pop Art; Felipe Cardeña che con i suoi collage policromi presenta composizioni kitsch che sovrappongono fiori e frutti ritagliati da riviste; Leonard Streckfus crea collage in cui personaggi storici sono ritratti con ironia nella vita quotidiana; Corrado Bonomi realizza composizioni con vari oggetti che ironicamente trattano dei problemi dell’uomo; Limbania Fieschi con il suo gusto kitsch americaneggiante; Carla Tolomeo con le sue sedie sculture; Mario Molinari che nelle sue sculture accentua e deforma grottescamente parti anatomiche di esseri umani e animali e le teatrali composizioni di legno, stucco, resina e oggetti vari di Vannetta Cavallotti. Infine l’omaggio ironico a Salvador Dalì del Cracking Art Group attraverso la fusione di materie plastiche e foto e The Bounty Killart che crea sculture di gesso fortemente satiriche.

Tutte queste opere d’arte presenti in mostra forniscono una vasta rappresentazione delle personali interpretazioni di ciascun artista.

Una sala è dedicata all’artista olandese, naturalizzato italiano Rutger (Rudy) Van der Velde, giornalista, grafico pubblicitario, illustratore e artista che ha creato assemblaggi sorprendenti, ironici e ludici con materiali eterogenei, oggetti superflui provenienti dalla nostra società consumistica.

Un’opera in particolare I am free – I feel free, che presenta una gabbia contenente un uomo-automa e una libellula, mentre un’altra libellula all’esterno posata su un ramo gode la libertà, esprime chiaramente la sperimentazione nelle sue opere di una continua ricerca di sensazioni nuove e liberatorie da ogni vincolo di asservimento alla comune realtà.

Nel corridoio che introduce alla mostra un tappeto interattivo composto da 5000 immagini kitsch che si animano al passaggio del pubblico porta il kitsch nel quotidiano, nella nostra vita di tutti i giorni.

La mostra si chiude con l’ultima grande sala nella quale si trova una vera e propria giostra di oggetti kitsch di artisti anonimi, che sono citazioni e riproduzioni del kitsch oggi.

Afferma Gillo Dorfles: “Come sempre, sono l’intenzione e la consapevolezza, sia rispetto all’utilizzo delle tecniche sia nei riguardi dei contenuti, che trasformano un oggetto, una forma, ma anche un comportamento, in un’opera, in un linguaggio che sentiamo veri e autentici. Se non esiste la dimensione culturale, ogni forma d’arte è destinata a cadere nella trappola di un kitsch più o meno consapevole. La vera arte non è mai “maliziosa”; il kitsch lo è, e questa è la sua essenza. È necessario conoscerlo, anche frequentarlo e, perché no, qualche volta utilizzarlo, senza farsi mai prendere la mano. Perché il cattivo gusto è sempre in agguato”.

Accompagna la mostra il libro-catalogo “Gillo Dorfles. Kitsch: oggi il kitsch”, per i tipi di Editrice Compositori, a cura di Aldo Colonetti, Franco Origoni, Luigi Sansone, Anna Steiner, che ospita una conversazione tra Aldo Colonetti e Gillo Dorfles, riflessioni di Vittorio Gregotti, Ugo Volli, Fulvio Carmagnola, Denis Curti, Francesco Leprino, Bruno Pedretti; una particolare documentazione a cura di Luigi Sansone su opere di artisti “ispiratori” e che interpretano oggi questo stile. In chiusura una rassegna fotografica sul kitsch quotidiano, interpretato da oggetti, prodotti, immagini.

La Triennale  presenta la mostra Gillo Dorfles. Kitsch - oggi il kitsch curata da Gillo Dorfles, insieme con Aldo Colonetti, Franco Origoni, Luigi Sansone e Anna Steiner.

Milano - Viale Alemagna 6, fino al 10 settembre 2012

lunedì 23 aprile 2012

Edizione a stampa


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giovedì 9 febbraio 2012

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Blog Sessanta

giovedì 12 gennaio 2012

Mostra internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro




Nelle prime quattro edizioni la Mostra divenne una sorta di punto di riferimento mondiale del rinnovamento cinematografico, con la partecipazione tra gli altri di Joris Ivens, Roberto Rossellini, Cesare Zavattini, Jean-Marie Straub, Bernardo Bertolucci, Jonas Mekas, Jerzy Skolimowski, Jean-Luc Godard, Pier Paolo Pasolini, Glauber Rocha; tra i più di cento film presentati nel quadriennio 1965-1968 figurano quasi tutti i maggiori risultati della Nová Vlna cecoslovacca, molti titoli del nuovo cinema di Budapest, del cinema sovietico, polacco, romeno e tedesco-democratico meno conformista, del già più libero cinema iugoslavo come del più innovativo cinema del mondo occidentale (con film dal Canada e dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna ma anche dalla Grecia, dal Belgio e dai Paesi scandinavi, non senza qualche titolo ‘di opposizione’ alle due dittature iberiche) con particolare riguardo al cinema francese della Nouvelle vague e dintorni, film dall'Oriente (soprattutto giapponesi, ma anche iraniani) e un nutrito gruppo di latinoamericani; oltre naturalmente, ma in misura minore, al gruppo dei film italiani.

Una conferma della ‘stagione d’oro’ della Mostra pesarese costituita dal primo quadriennio furono poi gli incontri internazionali che annualmente vi si svolgevano: sia quelli sui concreti problemi della produzione, circolazione e diffusione del ‘nuovo cinema’ che ebbero luogo nel 1965, nel 1966 (in collaborazione con l’UNESCO), e nel 1967 come primo congresso del Centro internazionale per la diffusione del nuovo cinema, promosso dalla Mostra stessa; sia quelli dedicati a cineasti e/o cinematografie, generalmente organizzati in piccole rassegne specifiche, come Introduzione al nuovo cinema cecoslovacco (1965), Incontro col nuovo cinema tedesco (1966), Il New American Cinema (1967), Cinema latinoamericano: cultura come azione (1968, in occasione dell'anteprima mondiale de La hora de los hornos di Fernando E. Solanas e Octavio Getino), sia infine quelli più famosi "per una nuova critica", ovvero La critica e il nuovo cinema (1965), Per una nuova coscienza critica del linguaggio cinematografico (1966), Linguaggio e ideologia nel film (1967).

La prima stagione d’oro si chiuse con il Sessantotto, anno in cui – dopo la chiusura del Festival di Cannes contestato e interrotto dai cineasti – la Mostra fu la prima istituzione culturale italiana a essere contestata: ma la direzione spalancò le porte agli studenti e convocò un'assemblea davanti alla quale si dimise accettando un coordinamento tecnico che garantì la proiezione di tutti i film in programma ma non lo svolgimento delle iniziative collaterali.

La quinta Mostra, quella del 1969, fu spostata a settembre per il lungo lavorio di ricucitura istituzionale reso necessario dagli eventi del Sessantotto e, sulla carta, affidata a un Comitato ordinatore, composto da rappresentanti delle associazioni di base pesaresi; si trattò di un’edizione di passaggio, ancora molto simile alle precedenti, benché senza premi, cerimonie inaugurali e di chiusura. In programma trentadue lungometraggi (fra cui nove latinoamericani) e sedici cortometraggi (di cui dodici latinoamericani). Oltre ai latinoamericani, agli italiani (Pagine chiuse, 1968, di Gianni da Campo, Il rapporto, 1969, di Lionello Massobrio, Tabula rasa, 1969, di Gianpaolo Capovilla, Vieni, dolce morte, 1969, di Paolo Brunatto e i corti Nelda di Piero Bargellini e Lo spirito delle macchine di Franco Angeli), e ad altre produzioni europee e statunitensi, risultarono significative alcune opere filtrate attraverso le maglie, ristrettesi dopo la repressione praghese, della burocrazia esteuropea: film sovietici (di Sergej P. Urusevskij, Tolomush Okeev, Gleb A. Panfilov) nonché di cineasti magiari (Imre Gyöngyössy), romeni (Mircea Saucan) e bulgari (Georgi Stojanov). Si svolsero inoltre due brevi convegni: uno, Necessità e possibilità di un circuito alternativo, che portò alla decisione, attuata negli anni successivi, di sottotitolare e fare circolare alcuni film stranieri; l’altro, quasi obbligato dopo il Sessantotto, su Cinema e politica.
http://it.wikipedia.org/wiki/Mostra_internazionale_del_Nuovo_Cinema_di_Pesaro

giovedì 5 gennaio 2012

Mistero buffo

Dario Fo e Franca Rame in scena all’Auditorium Conciliazione di Roma, venerdì 20 gennaio 2012 (ore 21), con lo spettacolo “Mistero Buffo”.
“Esattamente 42 anni fa andavamo in scena a Milano con Mistero Buffo. Era il 1969. Recitavamo in un capannone di una piccola fabbrica dismessa dalle parti di Porta Romana che noi avevamo trasformato in una sala di teatro con il nostro gruppo. In quell’occasione Franca ed io ci alternavamo sul palcoscenico eseguendo monologhi di tradizione popolare, tratti da giullarate e fabliaux del medioevo, non solo italiane, ma provenienti da tutta Europa. Mistero Buffo cercava di dimostrare che esiste un teatro popolare di grande valore, nient’affatto succube o derivato da testi della tradizione erudita, espressione della cultura dominante. Oggi, dopo quasi mezzo secolo, torniamo in scena con una selezione di questo nostro spettacolo ‘dei primordi’. Non ci è stato facile decidere quali testi privilegiare. Siamo sicuri che durante questi prossimi mesi inseriremo qua e là altri testi e soprattutto andremo recitando all’improvviso in modo a dir poco esagerato. Ma dovete capire: per noi recitare non è solo un mestiere, ma è anche e soprattutto un divertimento. Che raggiunge il massimo del piacere quando riusciamo a inventarci nuove situazioni e buttare all’aria convenzioni e regole. Speriamo di comunicarvi questo nostro spasso e di riuscire a sorprendervi, farvi ridere e magari pensare”.
Dario Fo e Franca Rame
Fonte: http://www.rbcasting.com/eventi/2011/12/21/il-mistero-buffo-di-dario-fo-e-franca-rame/