domenica 26 aprile 2009

Programma 101

Per chi non fosse convinto di quanto affermato nel post precedente, ecco un brano tratto dal libro autobiografico di Pier Giorgio Perotto, costruttore negli anni '60 del primo computer della storia:

" L'incontro con la General Electric, che dal 1956 era anch'essa entrata nel campo dei calcolatori elettronici, per un gruppo che era assolutamente determinato a disfarsi della elettronica, fu quindi quasi obbligato. Va però precisato che tale determinazione non era mai stata esplicitamente o ufficialmente dichiarata nel corso delle trattative che avevano portato alla costituzione del gruppo di intervento; la sensazione che si andasse in quella direzione emerse direi quasi a livello umorale. Per giunta quando un nuovo management, non precisamente annoverabile tra i più fantasiosi, viene messo a capo di una società, e' abbastanza ovvio attendersi come minimo un messaggio di cambiamento e non proprio nel senso di una audace proiezione verso il futuro.

La General Electric era un vero colosso, al terzo posto in America per numero di dipendenti e al quarto per fatturato. Il cervello della divisione informatica era a Phoenix in Arizona, dove ben 4000 ricercatori progettavano le linee di calcolatori di fascia più alta. Ma lo sforzo che la società aveva avviato in questo campo non aveva dato ancora risultati quantitativamente soddisfacenti: la quota di mercato era minima, dell'ordine del 2%, non solo rispetto al gigante IBM col 65% del mercato, ma anche rispetto agli altri concorrenti del settore, come Control Data, Sperry Rand, RCA. Era quindi logico attendersi che essa desiderasse annettersi quote di mercato attraverso delle acquisizioni, visto che le sue disponibilità finanziarie erano di tutto rispetto.

Un altro aspetto va ancora ricordato: la General Electric era stata una delle aziende che più aveva contribuito a creare il pensiero e la prassi della pianificazione strategica. Essa aveva già attuato negli anni 50 una struttura basata su cinque divisioni, dotate di larga autonomia, che spaziavano in tutti i settori più importanti dell'elettrotecnica, per arrivare agli impianti nucleari, alle turbine a gas, alle apparecchiature spaziali. Era quasi inevitabile che il gigante non potesse star fuori dal settore informatico, che sembrava sulla carta possedere tutti i quattro quarti dei requisiti richiesti per un brillante sviluppo futuro.

In conclusione la General Electric avviò trattative, sia in Francia con la Bull, che in Italia con la Olivetti, per una operazione che sembrava da manuale per un'azienda che voleva bruciare le tappe di una espansione a livello mondiale; anch'essa si accorgerà solo più tardi che tra la teoria e la pratica c'e' di mezzo il mare.

L'annuncio dell'accordo con la General Electric venne diramato il 31 agosto del 1964 con uno scarno comunicato della direzione Olivetti, nel quale non si parlava affatto di cessione, ma semplicemente della costituzione di una società mista denominata "Olivetti-General Electric s.p.a. " ovvero OGE, alla quale veniva conferita la divisione elettronica. Ma le trattative erano cominciate appena la nuova direzione fu insediata; alcuni dicono ancora prima, in gran segreto.

In un primo tempo all'interno della divisione pensammo più che ad una cessione a qualche forma di accordo paritetico. A pensare questo eravamo indotti dall'energica smentita della direzione Olivetti ad un volantino emesso dalle commissioni interne, nel quale si affermava che erano state prese le decisioni di: " abbandonare l'attività' elettronica e di ricerca; di mantenere, trasferendola ad Ivrea, l'attività' del gruppo dell'ingegner Perotto, relativa alle piccole macchine ". " Dichiarazioni assolutamente false " tuonava la smentita, quasi con sdegno.

Un ulteriore rafforzamento delle nostre speranze derivava dall'atteggiamento fiducioso ed ottimista assunto da Roberto Olivetti, della cui buona fede non avevamo ragione di dubitare e che era sempre stato sincero difensore della elettronica. Egli vedeva nell'accordo con un colosso come la General Electric, con immensi laboratori di ricerca, un modo, forse l'unico in quella situazione, di rilanciare l'elettronica e di ricavare un know-how che si sarebbe potuto riversare sull'intera Olivetti. Alla luce di quanto poi e' successo, devo concludere che egli si ingannò oppure, più verosimilmente, che fu ingannato. Essendo Roberto, di tutta l'alta direzione Olivetti l'unico che ne capisse qualcosa di elettronica, coloro che avevano in mano la regia dell'operazione pensarono certamente che era preferibile non averlo contro, prospettandogli intenzioni molto più idilliache di quelle che l'accordo avrebbe poi fissato.

Ma la realtà vera di quanto si andava tramando emerse, almeno ai miei occhi, molto chiaramente nel viaggio a Phoenix che, con una delegazione di colleghi della divisione elettronica, facemmo alla fine di giugno del 1964.

Visitare l'Arizona nel mese di luglio, col caldo soffocante del deserto, non e' per niente raccomandabile come gita turistica distensiva; ma certamente più opprimente fu il clima che improntò i colloqui con gli americani. Anche se le forme e i cerimoniali furono cordiali, molto chiare furono le espressioni di quasi assoluto disinteresse o addirittura di insofferenza per la ricerca fatta a Pregnana. Non essendo i nostri interlocutori ne' diplomatici, ne' avvocati, ma tecnici, essi senza troppi peli sulla lingua ci fecero capire che l'unico interesse era costituito dalla acquisizione di una base commerciale in Italia per la distribuzione dei calcolatori progettati a Phoenix. Questa sensazione era poi rafforzata dal tipico atteggiamento americano di considerare pressoché inesistente il resto del mondo e in particolare di non attribuire all'Italia alcuna particolare credibilità al di fuori del design e di poche altre attività del tipo "genio e sregolatezza ".

Essendomi fatta questa convinzione, fui preso dai più funesti presagi sul destino della divisione elettronica in generale e della attività del mio gruppo in particolare. Io mi stavo infatti occupando effettivamente di piccole macchine e di unità di ingresso-uscita dei dati negli elaboratori, come lettori di caratteri ottici e magnetici, ossia di tutte quelle apparecchiature che potevano costituire un ponte tra la informatica dei grandi elaboratori e i tradizionali prodotti di Ivrea, però da qualche tempo mancava completamente un preciso indirizzo e nessuno si preoccupava di dirci che cosa dovevamo fare. D'altra parte era ai miei occhi chiaro che alla General Electric nulla importava delle piccole macchine.

Cercai ripetutamente di parlarne con Roberto, ma lo trovai poco disposto a condividere il mio pessimismo. Ebbi l'impressione che egli fosse rimasto abbagliato dalla potenza degli americani, potenza che essi non evitarono certo di esibire, facendoci visitare i loro grandiosi laboratori di ricerca, gli stabilimenti di produzione dei grandi elaboratori della linea Ge-600, prospettandoci piani di sviluppo del settore finalizzati a sconfiggere il colosso IBM, e così via. In fondo sembravano volerci infondere un senso di impotenza, facendo risaltare il divario con le nostre scarse risorse, il nostro limitato mercato italiano, la nostra arretratezza.

Devo dire che questo senso di superiorità e anche di arroganza che caratterizzava il clima delle trattative ( che per la parte a noi riservata si limitavano a definire qualche aspetto di secondaria importanza ), da una parte mi dava la netta sensazione che i giochi fossero già fatti, dall'altra mi spinse, perso per perso, ad assumere un atteggiamento di bellicosa opposizione all'accordo, a tutti i tavoli ai quali ebbi la ventura di essere chiamato. Cercavo in fondo di salvare qualche spazio residuo per il mio lavoro e per quello dei miei collaboratori.

La conclusione fu che gli americani fecero sapere, neppure tanto discretamente, a Roberto Olivetti che non sarebbero stati scontenti se l'ingegner Perotto, pur facendo parte del laboratorio elettronico di Pregnana che veniva loro ceduto, se ne fosse rimasto con la Olivetti. E così puntualmente avvenne.
"

Il resto della storia, lo trovate al link del titolo

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