John Maynard Keynes. Nella sua opera più importante “Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta” del 1936, Keynes critica i fondamenti dell’economia “classica”, in particolare l’idea che il mercato tenderebbe spontaneamente a creare l’equilibrio fra domanda e offerta e a raggiungere la piena occupazione delle unità di lavoro disponibili. Keynes, invece, attribuì allo Stato il compito di accrescere il volume della domanda effettiva e inoltre, attribuì anche allo Stato il compito di creare la piena occupazione tramite l’aumento della spesa pubblica. La condizione preliminare di queste manovre era l’abbandono del mito del bilancio in pareggio: la spesa pubblica poteva essere finanziata anche col ricorso ai deficit di bilancio (politica del deficit spending) e con l’aumento di moneta in circolazione. Gli effetti inflazionistici di queste procedure sarebbero stati compensati dai benefici che le spese statali avrebbero arrecato al reddito e alla produzione. Proprio secondo i modelli economici di Keyenes, l’economia occidentale venne riorganizzata dopo la seconda guerra mondiale per la ricostruzione. Negli anni ’50 e ’60 del ’900, l’economia dei paesi industrializzati attraversò un periodo di sviluppo senza precedenti anche grazie alle politiche statali in sostegno della crescita. Esempio eclatante delle nuove politiche economiche fu la Gran Bretagna, dove nel dopoguerra, il governo laburista nazionalizzò la Banca d’Inghilterra, le industrie elettriche e carbonifere, la siderurgia e i trasporti; introdusse il salario minimo e il Servizio sanitario nazionale, che prevedeva la completa gratuità delle prestazioni mediche. Questo genere di politica si sviluppò in maniera più o meno simile in tutta Europa.[3]
[3] Il Novecento,G.Sabbatucci-V.Vidotto, Roma,Laterza,2010
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