I «quaderni piacentini» hanno costituito un caso, abbastanza raro in Italia, di una rivista politi-co-culturale di sinistra, non legata ai partiti, correnti o gruppi, che per circa vent’anni fu il luogo naturale d’incontro e di dibattito della nuova sinistra, e che nel 1968-69 divenne strumento di elaborazione e diffusione delle idee del movimento studentesco.
La rivista nacque nel 1962, in pieno miracolo economico, mentre erano in corso grandi mutamenti nell’economia e nella società e cominciava ad affermarsi anche in Italia l’industria culturale. Sul suo indirizzo politico iniziale influirono le idee che in quel periodo si andavano dibattendo in piccoli gruppi marxisti di tendenza operaista: i «Quaderni rossi» di Raniero Panzieri, «classe operaia» di Mario Tronti e Alberto Asor Rosa, il gruppo cremonese che faceva capo a Danilo Montaldi. Franco Fortini, amico di Panieri e vicino ai «Quaderni rossi», fu più di ogni altri prodigo di consigli e di collaborazioni fin dalla primissima fase. Ma l’originalità, la spregiudicatezza e l’indipendenza della rivista furono merito esclusivo di Pergiorgio Bellocchio e Grazia Cherchi, i due giovani intellettuali piacentini che la inventarono e la gestirono.
I primi due fascicoli, ciclostilati, uscirono nel marzo e nell’aprile 1962: avevano rispettivamente 16 e 36 pagine, tiravano circa 250 copie e costavano 100 lire. Il numero 1 si presentava «a cura dei giovani della sinistra», mentre nel numero 1 bis Bellocchio compariva come direttore. I primi numeri si occupavano in parte anche dei problemi cittadini, ma l’impronta di novità e di freschezza era data dal tono anticonformista dei commenti sociali e di costume (nella rubrica «Il franco tiratore»), dalle recensioni e segnalazioni di libri, che erano spesso stroncature, e dalla rubrica «Libri da leggere e da non leggere», mantenuta fino al numero 36. Nei primi tre anni, benché la diffusione fosse fatta in prima persona dai redattori e da pochi amici, la rivista registrò una crescita costante: crebbe il numero di pagine, la tiratura e le vendite aumentarono progressivamente da 1.000 a 2.500 copie, fra i collaboratori comparvero Franco Fortini, Sergio Bologna, Giovanni Giudici, Goffredo Fofi, Giancarlo Majorino, Luciano Amodio, Edoarda Masi, Roberto Roversi, Mario Isnenghi, Alberto Asor Rosa. Un salto di qualità e di diffusione avvenne nel 1965, con i numeri 23-24 e 25: il primo conteneva Un colloquio con Ernesto De Martino di Cesare Cases, seguito da un commento di Fortini; il secondo, la densa rassegna di Renato Solmi, ricca di originali spunti teorici, su La nuova sinistra americana, che contribuì a immettere nella cultura della nuova sinistra un filone di idee e comportamenti politici praticamente sconosciuto. Con il numero 25 la diffusione aveva raggiunto le 3.000 copie. Il numero 28 (settembre 1966), che registrava l’ingresso nel comitato direttivo di Goffredo Fofi, da tempo assiduo collaboratore della rivista, pubblicò le Considerazioni sul materialismo di Sebastiano Timpanaro; nel numero 29 uscirono la Difesa del cretino di Fortini e un inedito di Panzieri; nel numero 30 le Note sulla rivoluzione culturale cinese di Edoarda Masi; il numero 31 (luglio 1967), quasi interamente dedicato a Imperialismo e rivoluzione in America Latina e redatto in collaborazione con i «Quaderni rossi» e «classe e stato», contribuì alla ulteriore diffusione della rivista, soprattutto fra i militanti del nascente movimento studentesco. I quattro fascicoli pubblicati nel 1968 (numeri 33-36) consacrarono il successo politico e commerciale della rivista: il numero 33, che conteneva fra l’altro Contro l’Università di Guido Viale, esaurì in pochi giorni le 8.000 copie di tiratura. I numeri successivi, e tutti quelli usciti nel 1969-70, ebbero una tiratura di 13.000 e una circolazione reale di oltre 10.000 copie, in gran parte fra i militanti del movimento studentesco. Gli abbonati arrivarono a 3.500.
La rivista, che aveva nel frattempo arricchito la parte più propriamente letteraria e culturale, offriva una vasta documentazione sui grandi eventi di politica internazionale, ma soprattutto materiali e analisi sulle lotte operaie e studentesche in Europa e in Italia, talora dissonanti e spesso critiche nei confronti della tendenza del movimento a frazionarsi e rinchiudersi in gruppi ideologici (basti ricordare, sul numero 34, Il dissenso e l’autorità di Fortini e, sul numero 38, Contro la falsa coscienza nel movimento studentesco di Ciafaloni e Dònolo). Il numero 43 (aprile 1971) formalizzò l’ingresso nel comitato direttivo di alcuni collaboratori abituali: Luca Baranelli, Bianca Beccalli, Francesco Ciafaloni, Carlo Dònolo, Edoarda Masi, Michele Salvati, Federico Stame; a questi in seguito si aggiunsero Giovanni Jervis e Alfonso Berardinelli.
Nonostante un’inversione di tendenza nelle vendite – fra 8.000 e 9.000 copie fino a tutto il 1976, circa 5.000 nel 1980 - «quaderni piacentini» continuò ad essere per tutti gli anni Settanta un punto di riferimento per militanti e quadri della sinistra. Le analisi e gli interventi di Ciafaloni, Salvati e Stame (per citare i commentatori più assidui) furono per molti un appuntamento e un termine di confronto. Nel 1980, con il numero 74 – pubblicato, come i due precedenti, dalle edizioni Gulliver di Milano con un raro quanto rilevante editoriale del direttore Bellocchio (Riflessioni ad alta voce su terrorismo e potere) – si chiuse la prima serie della rivista. Per dissensi sull’indirizzo politico e culturale erano frattanto usciti dal comitato direttivo la Masi e Ciafaloni; altri si dimisero nel 1980 ritenendo esaurito il ciclo vitale della rivista.
Una nuova serie di «quaderni piacentini» fu pubblicata dall’editore milanese Franco Angeli fra il 1981 e il 1984 (quindici numeri in tutto). Il comitato direttivo era inizialmente composto da Bianca Beccalli, Piergiorgio Bellocchio, Alfonso Berardinelli, Grazia Cherchi, Goffredo Fofi, Giovanni Jervis, Michele Salvati, Federico Stame. Nel 1983 si aggiunsero Gad Lerner, Franco Moretti, Roberto Moscati e Stefano Nespor.
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