mercoledì 13 maggio 2009

La "virtus" nello sport



In Italia religione, sport e politica sono accomunate dal fatto di essere ritenute materia di fede: vale a dire che si rinuncia ad esercitare su questi argomenti l'uso della ragione in favore di adesioni incondizionate a questa o a quella parte.

Sfidando questa concezione vorremmo qui ricordare alcune figure esemplari, in questo inizio del decennio, senza voler fare alcuna graduatoria e sapendo benissimo che ne esistono numerosi altri.

Uno è sicuramente Giacinto Facchetti che inventò un ruolo che non esisteva e che solo uno con le sue capacità atletiche poteva sostenere: il terzino d'attacco (e lo testimoniano le cifre dei gol segnati e la sua lunga carriera anche come capitano della nazionale.

Sempre in tema di "invenzione", Gianni Rivera comincia a giocare per il Milan nel 1960 e ci rimane per 19 stagioni. Il suo ruolo di "regista" e la precisione nei passaggi gli consentono di servire palle-gol perfette ai suoi compagni e l'unico modo per fermarlo è "falciarlo" fallosamente.

Praticamente coetaneo (1942), comincia a giocare nel 1961 Sandro Mazzola, figlio del Valentino del "grande" Torino che seguirà le trionfali sorti dell'Inter degli anni '60 e sarà 70 volte nazionale nel ruolo di attaccante.

Quello che accomuna questi grandi professionisti è il rispetto per le regole del mestiere (e lo dimostra la longevità della loro carriera) lontani dalle manifestazioni divistiche (e dagli ingaggi miliardari) così comuni dagli anni '80 fino ad oggi.



Di Nicola Pietrangeli va sottolineata la sua rinuncia a passare al professionismo, impensabile oggi in un mondo in cui i soldi costituiscono l'unico valore.

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